Liam Everts: "Inizio a camminare da solo"

Il giovane pilota belga racconta la sua costante crescita sportiva e parla della pressione, della prima vittoria e del particolare rapporto con il padre/allenatore Stefan

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Per non fare confusione, anche Liam Everts corre con il numero #72. Come il padre Stefan. Il diciannovenne belga è un membro riconoscibile della famiglia più famosa del motocross sin da prima che potesse camminare. Suo padre lo portò sul podio a soli due mesi, quando vinse il Gran Premio d'Irlanda del 2004. Liam rappresenta la terza generazione ad aver assaporato il successo nei GP del motocross e un futuro titolo mondiale è molto probabile; ci è arrivato molto vicino già nel 2023, nel suo primo anno come pilota del team Red Bull KTM Factory Racing, al suo secondo anno nel Mondiale MX2. Everts era a soli 48 punti da Adamo al penultimo appuntamento della stagione, ma una caduta nella seconda manche a Maggiora ha spianato la strada al siciliano.

Liam, anche se la caduta di Maggiora deve aver fatto male, il 2023 deve essere considerato un successo...

"Sì, è stato un anno di svolta, anche perché avevo tante cose nuove da imparare e una nuova squadra da conoscere. Anche i GP d'oltreoceano, non li ho fatti nel 2022 a causa di un infortunio. Ho avuto qualche settimana difficile all'inizio, ma poi la situazione si è ripresa ed è arrivata la prima vittoria. Da lì le cose hanno cominciato a funzionare. Il 2023 è stato anche l’anno più difficile per me finora; solo per dover lavorare con mio padre, diventare adulto, vivere da solo e scoprire cosa voglio dalla vita. È stato difficile mentalmente trovare il giusto equilibrio".

Anche adattarsi ad essere un pilota ufficiale deve essere un carico da gestire…

"All’inizio è stato difficile per me perché avevo mancato il podio alcune volte nel 2022 e non avevo ottenuto grandi prestazioni. Avevo del potenziale ma non lo avevo dimostrato davvero. Indossare questi colori e poi finalmente conquistare il primo GP è stato per me un grande sollievo. Ho dimostrato che potevo farcela e che il mio posto era qui. Era come tirare un sospiro di sollievo, liberarmi di un peso. Da lì in poi potevo solo andare in moto e basta. Il 2023 sia stato un anno di apprendimento e di impostazione delle cose per i prossimi anni".

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Hai menzionato la vita da sola per la prima volta. Quanto è stato grande il cambiamento per te?

"Il più grande finora. Dopo Arco mi sono trasferito in un appartamento in una città piuttosto grande vicino a casa, Hasselt, a circa 15 minuti dai miei genitori che visito spesso. È davvero bello e piacevole stare da solo e spegnere la mente, non dover per forza parlare sempre di corse con papà. Posso stare da solo e capire le cose per conto mio".

Il tuo stile ha un approccio molto misurato. C'è molto potenziale, ma sembra che tu sia sempre calcolatore.

"Sì, penso che tu abbia ragione. Voglio dire, non sono come Lucas Coenen, per esempio, che è chiaramente un grande talento capace di vincere un GP nel suo primo anno. Non sono io e lo accetto. Ma ai miei occhi quello che ho, e che alcuni piloti non hanno, è una crescita costante. Continuo a imparare e continuo a migliorare".

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Credi molto nel lato mentale di questo sport?

"SÌ. E il vantaggio più grande che posso ancora ottenere è il lato mentale. È un punto importante su cui abbiamo lavorato questo inverno".

Si tratta di avere più convinzione?

"Il punto è la pressione che metto su me stesso. Non c'è nessuno più duro con se stesso di me. Molto raramente trovo delle scuse, se il problema sono io allora lo accetto. Lo dirò alle persone intorno a me “non sono abbastanza bravo”. Alcuni altri piloti potrebbero incolpare la moto. C’è molto da fare sul piano mentale".

Cosa significa per te "fiducia"?

"Penso che si tratti di qualcosa da costruire. Guarda le mie sessioni di prova. Sono a malapena vicino ai primi cinque, ma per le qualifiche so di essere tra i primi tre e quel senso di fiducia è cresciuto così tanto che non mi interessano più i giri veloci nelle prove. La difficoltà di una manche di 20 minuti significa molto più di un giro veloce, più alla portata di tutti".

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Sei molto legato a tuo padre, ma quando vedi l'impatto che Joel Smets o Aldon Baker hanno avuto su alcuni piloti, ci sono esperienze diverse che vorresti fare?

"Non proprio perché penso che mio padre abbia molto da darmi e sento di avere ancora tanto da imparare da lui. Quest'anno abbiamo lavorato molto sul trovare il giusto equilibrio dopo la gara, quando lui mi dice cosa ho sbagliato, sempre in modo diretto. Stiamo ancora risolvendo la cosa. Ma non sono molto curioso di sapere come lavorano gli altri perché mi sono concentrato molto su quello che sto facendo adesso e su quello che stiamo facendo come squadra".

Difficile capire quando l'allenatore si ferma e viene fuori l'aspetto paterno.

"È molto difficile. A volte... non ho davvero un papà... Ma facciamo tante cose insieme nel tempo libero e molte sono piacevoli, come andare insieme a fare enduro. È un rapporto padre-figlio molto diverso dal solito".

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Dopo la tua prima vittoria hai scherzato dicendo che ne mancavano altri 100. Piaccia o no, la tua vita e la tua carriera finora sono state circondate da aspettative...

"È un aspetto difficile da affrontare. Quest'anno ho iniziato a espormi un po' per farmi riconoscere dalla stampa in Belgio, ma non fa proprio parte del mio carattere. Mio padre è molto diverso. Gli piace l'attenzione e sto ancora imparando molto, anche nella mia vita quotidiana. Devo accettarlo, anche se trovo difficile gestire la fama, perché apprezzo di più una vita normale".

Crescerai, sei già un pilota importante per gli appassionati di motocross del Belgio…

"Penso che la mia personalità, il modo in cui mi mostro ai fan e come mi rapporto con loro sia molto importante; faccio del mio meglio per questo. A volte è difficile valutare il tutto, anche perché ho solo 19 anni".

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